lunedì 23 aprile 2018

X Agosto

"San Lorenzo, io lo so perché tanto
di stelle per l'aria tranquilla
arde e cade, perché sì gran pianto
nel concavo cielo sfavilla.
 
Ritornava una rondine al tetto:
l'uccisero: cadde tra spini:
ella aveva nel becco un insetto:
la cena de' suoi rondinini.
 
Ora è là, come in croce, che tende

quel verme a quel cielo lontano;
e il suo nido è nell'ombra, che attende,
che pigola sempre più piano.
 
Anche un uomo tornava al suo nido:
l'uccisero: disse: Perdono;
e restò negli aperti occhi un grido:
portava due bambole in dono…
 
Ora là, nella casa romita,
lo aspettano, aspettano in vano:
egli immobile, attonito, addita
le bambole al cielo lontano.
 
E tu, Cielo, dall'alto dei mondi
sereni, infinito, immortale,
oh! d'un pianto di stelle lo inondi
quest'atomo opaco del Male!"


La poesia di Giovanni Pascoli pubblicata nel 1896 sulla rivista "Il Marzoco" è stata scritta per commemorare la morte del padre, assassinato da sconosciuti il 10 Agosto 1896, evento che viene posto in una relazione di parallelismo con l'uccisione di una rondine di ritorno al suo nido.

Solo et pensoso

“Solo et pensoso i piú deserti campi
vo mesurando a passi tardi et lenti,
et gli occhi porto per fuggire intenti
ove vestigio human l’arena stampi.

Altro schermo non trovo che mi scampi
dal manifesto accorger de le genti,
perché negli atti d’alegrezza spenti
di fuor si legge com’io dentro avampi:

sì ch’io mi credo omai che monti et piagge
et fiumi et selve sappian di che tempre
sia la mia vita, ch’è celata altrui.

Ma pur sí aspre vie né sí selvagge
cercar non so ch’Amor non venga sempre
ragionando con meco, et io co-llui.”

Il sonetto XXXV del Canzoniere è un esempio del modo d’intendere il sentimento dell’amore come forza incontrollabile, pervasiva e totalizzante, al quale non è possibile sfuggire. Anche i rapporti umani ne vengono condizionati e compromessi in quanto il poeta, innamorato e tutto preso da questo sentimento, sente il bisogno di isolarsi e di ritirarsi nella più completa solitudine per proteggere il proprio sentire e non trovarsi esposto al giudizio degli altri. Francesco Petrarca coglie così un aspetto generale del comportamento umano, comune a tutte le persone sofferenti per amore. La ricerca della tuttavia, pur essendo una fuga dal mondo, non è un allontanarsi dall’amore, che non lascia mai libero il cuore dell’innamorato. 

Chi sono?

“Chi sono?
Son forse un poeta?
No, certo.
Non scrive che una parola, ben strana,
la penna dell’anima mia:
“follia”.
Son dunque un pittore?
Neanche.
Non ha che un colore
la tavolozza dell’anima mia:
“malinconia”.
Un musico, allora?
Nemmeno.
Non c’è che una nota
nella tastiera dell’anima mia:
“nostalgia”.
Son dunque… che cosa?
Io metto una lente
davanti al mio cuore
per farlo vedere alla gente.
Chi sono?
Il saltimbanco dell’anima mia.”

La lirica appare per la prima volta nei Poemi (1909)  e successivamente viene scelta dell’autore per aprire l’edizione definitiva delle Poesie (1930), divenendo una sorta di dichiarazione di poetica. In essa Palazzeschi, rompendo con la tradizione, affronta in modo leggero e scherzoso il tema dell’identità del poeta e afferma la propria vocazione al riso e al divertimento, fino a definirsi saltimbanco.  La poesia in realtà può anche essere letta come un’espressione dello smarrimento dell’artista, che dietro la maschera autoironica cela il disagio suscitato da un contesto sociale che non gli riconosce più alcuna qualità superiore. 

Le piccole cose che amo di te

“Le piccole cose che amo di te
quel tuo sorriso un po’ lontano
il gesto lento della mano
con cui mi carezzi i capelli
e dici: vorrei averli anch’io così belli
e io dico: caro sei un po’ matto
e a letto
svegliarsi col tuo respiro vicino
e sul comodino
il giornale della sera
la tua caffettiera
che canta, in cucina
l’odore di pipa che fumi la mattina
il tuo profumo un po’ blasé
il tuo buffo gilet
le piccole cose che amo di te
Quel tuo sorriso strano
il gesto continuo della mano
con cui mi tocchi i capelli
e ripeti: vorrei averli anch’io così belli
e io dico: caro me l’hai già detto
e a letto
stare sveglia sentendo il tuo respiro
un po’ affannato
e sul comodino il bicarbonato
la tua caffettiera che sibila in cucina
l’odore di pipa anche la mattina
il tuo profumo un po’ demodé
le piccole cose che amo di te
Quel tuo sorriso beota
la mania idiota
di tirarmi i capelli
e dici: vorrei averli anchío così belli
e ti dico: cretino,
comprati un parrucchino!
e a letto stare sveglia a sentirti russare
e sul comodino
un tuo calzino
e la tua caffettiera che è esplosa finalmente, in cucina!
la pipa che impesta fin dalla mattina
il tuo profumo di scimpanzé
quell’orrendo gilet
le piccole cose che amo di te.”

 La trasformazione dell’amore in noia, monotonia della vita quotidiana, l’insofferenza per la persona con cui si condivide l’esistenza costituiscono un’esperienza molto frequente nella vita di coppia.  È certamente un passaggio doloroso e difficile da accettare: in questa lirica Stefano Benni lo presenta con toni ironici garbati, mettendo l’accento sul progressivo cambiamento di giudizio su persone cose.

venerdì 20 aprile 2018

Ho sceso, dandoti il braccio, almeno un milione di scale



“Ho sceso, dandoti il braccio, almeno un milione di scale
e ora che non ci sei è il vuoto ad ogni gradino.
Anche così è stato breve il nostro lungo viaggio.
Il mio dura tutt’ora, né più mi occorrono
le coincidenze, le prenotazioni,
le trappole, gli scontri di chi crede
che la realtà sia quella che si vede.

Ho sceso milioni di scale dandoti il braccio
non già perché con quattr’occhi forse si vede di più.
Con te le ho scese perché sapevo che di noi due
le sole vere pupille, sebbene tanto offuscate,
erano le tue.”




https://www.google.it/amp/s/www.vanillamagazine.it/la-scala-in-mosaico-segreta-di-san-francisco/amp/




Questa lirica è una delle più note della raccolta Satura. Montale si rivolge alla moglie e ripercorre con lei il ricordo del loro lungo legame amoroso. Drusilla (la moglie) aveva una vista debole e portava dei vistosi occhiali, ma questo non le ha impedito di essere, all’interno della coppia, la persona più dotata di intuizione e di capacità di vedere la realtà delle cose, nonché di saper gestire la vita concreta e le necessità quotidiane. È stata perciò una presenza di assoluta positività e ora la sua assenza definitiva fa sentire al marito tutta la sua solitudine.




giovedì 5 aprile 2018

Padre se anche tu non fossi il mio

“Padre, se anche tu non fossi il mio
padre,se anche fossi a me un estraneo,
per te stesso ugualmente t'amerei.
Che mi ricordo d'un mattino d'inverno
che la prima viola sull'opposto 
muro scopristi dalla tua finestra
e ce ne desti la novella allegro.
Poi la scala di legno tolta in spalla 
di casa uscisti e l'appoggiasti al muro.
Noi piccoli stavamo alla finestra.

E di quell'altra volta mi ricordo
che la sorella mia piccola ancora
per la casa inseguivi minacciando
(la caparbia aveva fatto non so che).
Ma raggiuntala che strillava forte
dalla paura ti mancava il cuore:
che avevi visto te inseguir la tua 
piccola figlia, e tutta spaventata
tu vacillante l'attiravi al petto,
e con carezze dentro le tue braccia
l'avviluppavi come per difenderla
da quel cattivo che eri il tu di prima.

Padre, se anche tu non fossi il mio
padre, se anche fossi a me un estraneo
fra tutti quanti gli uomini già tanto
pel tuo cuore fanciullo t'amerei.”






Poesia pubblicata nel 1914 nella raccolta Pianissimo, è incentrata su un  ricordo d'infanzia dell'autore, il poeta ligure Camillo Sbarbaro, che rievoca con affetto e ammirazione la figura del padre.